Ti consiglio "il nome della rosa" di Umberto Eco...si, non è molto recente come libro...anzi...è degli anni '80, ma ne vale la pena!
la trama è questa: (presa da wikipedia ovviamente
)
E' la fine di novembre del 1327. Guglielmo e Adso si recano in un monastero benedettino di regola cluniacense sperduto sui monti dell'Italia settentrionale (presumibilmente: l'Appennino ligure). Questo monastero sarà sede di un delicato convegno che vedrà protagonisti i Francescani - sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati dell'Imperatore - e i nemici della curia papale, insediata a quei tempi ad Avignone. I due monaci (Guglielmo è francescano e inquisitore "pentito", il suo discepolo Adso è un novizio benedettino) si stanno recando in questo luogo perché Guglielmo è stato incaricato dall'Imperatore a partecipare al congresso quale sostenitore delle tesi pauperistiche. Allo stesso tempo l'Abate, preoccupato che l'inspiegabile morte di un confratello durante una bufera di neve possa far saltare i lavori del convegno e far ricadere la colpa su di lui, confida nelle capacità inquisitorie di Guglielmo affinché faccia luce sul tragico omicidio, cui i monaci - tra l'altro - attribuiscono misteriose cause soprannaturali. Nel monastero circolano infatti numerose credenze circa la venuta dell'Anticristo.
Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa all'ex-inquisitore, altre morti violente si susseguono e sembrano tutte ruotare attorno alla biblioteca, vanto del monastero (costruita come un intricato labirinto a cui hanno accesso solo il bibliotecario e il suo aiutante) e ad un misterioso manoscritto greco. La situazione è complicata dall'arrivo dell'inquisitore Bernardo Gui e dalla scoperta di due eretici della setta dei Dolciniani, profughi presso l'Ordine dei Benedettini (il cellario e il suo amico semianalfabeta): così, in un'atmosfera inquietante, alternando lunghe digressioni storico-filosofiche, ragionamenti investigatori e avvincenti scene d'azione, Guglielmo e Adso si avvicinano alla verità penetrando nel labirinto della biblioteca e scoprendo il luogo dove è custodito il manoscritto fatale (l'ultima copia rimasta del secondo libro della Poetica di Aristotele), che tratta della commedia e del riso. Alla fine, l'assassino (il vecchio Jorge) divora le pagine avvelenate del testo e l'intera abbazia brucia nell'incendio verificatosi nella confusione.
Il punto centrale del romanzo sta nel fatto che se è possibile ridere di tutto - come affermato nella Poetica di Aristotele - è possibile ridere di Dio, contrapponendo il dogmatismo alla ragione dell'uomo, che avrebbe portato al relativismo e alla caduta della religione (un tema classico dalla rivoluzione francese in poi). Il relativismo insegna che il bene e il male sono difficilmente riconducibili a verità assolute, in quanto troppo spesso celati in contesti apparentemente opposti. In altre parole, il bene si può nascondere anche in una realtà del tutto intesa al male e viceversa. Jorge, infatti, è lucidissimo nel suo proposito di salvare l'umanità dalla pericolosa riscoperta del libro di Aristotele ("possiamo ridere di Dio? Il mondo precipiterebbe nel caos"); egli ne intuisce il pericolo ed è lui a provocare la catena di omicidi per impedire la conoscenza del messaggio proibito. Ma proprio l'eccessivo amor di Dio e della sua verità lo porta a compiere un'opera diabolica.
In tema di citazioni e ammiccamenti più o meno nascosti (di cui il romanzo è disseminato dall'inizio alla fine) è abbastanza palese che tanto il nome di questo personaggio (Jorge da Burgos), quanto il trinomio cecità/biblioteca/labirinto a lui collegato, costituiscano un'allusione allo scrittore argentino Jorge Luis Borges.
Una curiosità legata al titolo del romanzo, è (parzialmente) svelata alla fine del libro, dove l'ormai vecchio narratore Adso da Melk conclude il suo racconto con un'espressione latina :"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" (la rosa primigenia esiste in quanto nome, possediamo i semplici nomi). Si tratta di un messaggio che - come prima detto - porta a riflettere affinché non si presuma di essere depositari della verità, in quanto questa sarà sempre contestabile se non addirittura risibile.